Domenica, 08 Aprile 2018 21:55

Intervista a OUBLIETTE MAGAZINE

 

 

 

 

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INTERVISTA di Antonella Quaglia

8 febbraio 2018

A.Q.: In La Fuoriuscita vi è la scelta di presentare due modi di intendere la psicoanalisi in cui, se da una parte c’è la necessità del terapeuta di far crescere il paziente, dall’altra si cerca invece la paralisi, la cristallizzazione dell’individuo per affermare una propria autorità. Per un profano è sconvolgente venire a conoscenza di una modalità distruttiva di una pratica che, vista dall’esterno, dovrebbe solo servire ad aiutare chi è in difficoltà. Tale deriva della psicoterapia è un problema ancora attuale? Esistono davvero gruppi settari come quello capeggiato dal personaggio di Adele Lùssari?

 

Giuseppe Lago: Purtroppo esistono ancora molti gruppi settari di questo tipo, innestati dentro una presunta deriva politica della psicoanalisi che affonda le sue radici negli anni settanta del Novecento. Qualcuno, in quegli anni, si propose come “innovatore” e artefice di una “rivoluzione” psicoanalitica che sarebbe dovuta andare di pari passo con quella che si svolgeva nella società e che aveva come filo conduttore la cultura e i movimenti del ’68. La presenza di questa deriva settaria e un po’ fanatica, del tutto in contrasto col vero metodo della psicoanalisi che è invece riflessivo e avverso alle mistificazioni, è riuscita ad alterare, almeno in Italia, la mente lucida di più di un contemporaneo. La carta politica, giocata con sincerità e coraggio dall’opera di Basaglia, il quale riesce a chiudere i manicomi nel 1978, viene usata in quegli anni da altri che per una ragione o per un’altra facevano anticamera negli istituti di psicoanalisi, alla ricerca di uno sbocco personale e di distinguersi in ogni modo. Diversi “guru” popolano le pagine dei giornali nelle ultime decadi del Novecento, sperando di essere convalidati nelle loro teorie prive di fondamento scientifico dal favore ottenuto tra i giovani e sempre meno giovani dei movimenti alternativi, disposti ad autenticare tutto ciò che si presentasse fuori dall’accademia e dal decrepito mondo universitario. Adele Lùssari è il prototipo di quei personaggi, spesso lontani anni luce dal comunismo o socialismo evocato a parole o nei simboli. Come loro, Adele è una intellettuale che ha come obiettivo l’emergenza di se stessa come outsider, sorpassando le complesse trafile dell’accademia e lottando contro l’angoscia di un anonimato considerato squallido e fallimentare. Meglio fare il “guru”, ossia buttare per finta alle ortiche la rispettabilità professionale ma nutrire l’ambizione di capovolgere il proprio fallimento con un exploit mediatico, diventando il fenomeno deprecato dei benpensanti ma conosciuto da molti e vincente nell’appena nata società dell’immagine. Per fare ciò, a costoro serviva una base di consenso adorante e pronta al sacrificio della propria identità, in funzione di quella collettiva di un gruppo, come nelle migliori sette religiose degli USA, sempre commiste a programmi pseudoscientifici e ad un fiorente sfruttamento economico. Chi essendo in difficoltà si è accostato (e ancora si accosta) all’Adele Lùssari di turno abbandona una vera opportunità di crescita personale, sacrificandola in nome di una presunta identità collettiva che fa solo il gioco del manipolatore autonominatosi genio incompreso o prosecutore dell’opera maldestra di un impostore che, a furia di sostenerlo per molti anni, i posteri faticano a riconoscere come tale, dandogli un credito postumo immeritato.

 

A.Q.: Sono tante le parti del romanzo in cui si narrano i sogni dei pazienti e se ne traggono interpretazioni. Ne derivano spunti molto interessanti che fanno riflettere il lettore. Quanto è importante nel suo lavoro l’attività onirica del paziente? È pratica diffusa, soprattutto tra gli scrittori americani, di tenere un diario sul comodino in cui segnare al risveglio i propri sogni. Sembra favorisca la creatività e l’esplorazione del proprio inconscio. Cosa ne pensa?

 

Giuseppe Lago: Ovviamente, ne penso il meglio possibile. Anche se nel libro sono ben distinte l’interpretazione corretta, che mette in evidenza il sognatore e il suo mondo, come potrebbe fare un test di personalità, dall’interpretazione scorretta, ovvero quella oracolare, nella quale l’interprete alla Lussari mette se stesso e confonde la mente di chi sogna, approfittando dell’ombra che circonda il mondo onirico. Comunque, sono convinto che il rapporto con i nostri sogni dovrebbe essere gestito quanto più da noi stessi, una volta imparato a leggere dentro di noi con l’aiuto di un esperto e non di un “guru”, sempre pronto quest’ultimo a infilarsi come un parassita nei nostri pensieri più reconditi.

 

A.Q.: Il suo romanzo si presterebbe bene a una trasposizione cinematografica. I personaggi sembrano schizzare fuori dalle pagine tanto sono tridimensionali, la trama è avvincente, con una concessione al genere giallo che rende la vicenda ancora più inquietante. Il tema della psicoterapia è spesso frequentato in film e serie televisive. Ha avuto proposte in merito?

 

Giuseppe Lago: Non proprio. Anche se il regista Livio Bordone, che ha presentato insieme a me il libro il 15.12.2017 alla  libreria Altroquando di Roma, non ha risparmiato lodi al testo e lo ha depositato presso la sua casa di produzione, in attesa di una proposta valida per un film. Posso dire che io stesso, mentre scrivevo, ho avuto di fronte a me lo scorrimento di immagini precise e atmosfere che solo il cinema, da me molto amato, può suscitare. In qualcuna delle sedute espresse nel libro è poi inevitabile cogliere l’influenza di ciò che abbiamo seguito con interesse nella serie tv In Treatment. In quest’ultima, tranne poche volte si sente costante l’atmosfera del setting della psicoterapia. Ne La Fuoriuscita, c’è una trama che ci porta dal setting alle vie della città, nei quartieri alti, nelle case dei quartieri popolari, nel giardino inquietante di villa Incom, ma anche in tante case, quella di Martha, piccola e antica, quella di Laura, attico di borgata, quella di Diego, affacciata sul lago, per non parlare di quella di Adele, gli interni di villa Incom.

 

A.Q.: Quanto ha messo di sé e del proprio sistema di valori nel personaggio dello psicoterapeuta Livio Spada?

 

Giuseppe Lago: Molto, forse moltissimo. Sono io come ero e come avrei voluto essere alla sua età. Sono sicuramente io come sono, con la mia voglia di non farmi ingannare dai sogni falsi e tuffarmi senza esitare in quelli autentici. Inoltre, ne ho fatto il sostenitore di una psicoterapia senza aggettivi, non psicoanalisi o altro, ma solo relazione con chi vuole evolvere, per riconsegnare questa persona alla propria vita senza “lucrare” sui suoi limiti o sulle sue impotenze. 

 

A.Q.: L’antitesi e antagonista di Livio Spada è la pseudo psicoterapeuta Adele Lussari. Non si può non pensare al fascino del male leggendo di lei, di come parla, di come si muove, di come prevarica chiunque entri nel suo spazio vitale. Spesso nella lettura ho pensato alla figura di Charles Manson, alla sua setta “The Family” tanto simile al “grande gruppo” di Villa Incom, e a come una sola persona possa emanare tanto potere e suggestionare e distruggere tante vite. Secondo lei in cosa risiede la forza di personaggi tanto negativi ma così carismatici?

 

Giuseppe Lago: Come è detto nel libro, nel quale mi autocito quale autore del saggio L’illusione di Mesmer, Adele Lùssari discende, per sua stessa ammissione, da Franz Anton Mesmer, ossia da colui che alla fine del Settecento inventò la suggestione, sostenendo di avere invece scoperto un fluido misterioso che dalle sue mani magnetizzava il prossimo e lo faceva “guarire” da tutte le malattie. Mesmer illuse un’epoca con presunte guarigioni miracolose. Poi, nell’Ottocento, misero a punto la natura suggestiva ergo psicologica dell’influenza da lui esercitata. Per questo, ho contestato che Mesmer possa essere il precursore degli psicoterapeuti, andando a scontrarmi con la stessa casa editrice del mio libro (Castelvecchi, 2014), la quale è stata spinta a tentare di cancellarlo da un gruppo di ammiratori di Mesmer al suo interno, fino a disconoscerne l’avvenuta pubblicazione. Poco male, perché già Alpes Italia me ne ha proposto una nuova edizione, che penso uscirà tra qualche anno. Tuttavia, quanto mi è successo sta a testimoniare che Adele Lùssari “è viva e lotta insieme a noi…!”. E se andiamo in giro a cercare, non è escluso che abbia una certa quantità di sostenitori inconsapevoli e di complici che ne apprezzano la condivisione del metodo Mesmer.

A.Q.: Nel romanzo si racconta del desiderio di Adele di entrare in politica, per portare all’esterno il proprio sistema di pensiero e completare una santificazione della propria immagine. Anche la politica, come la psicoterapia dannosa della Lussari, opera spesso un culto della personalità, facendo leva sul bisogno dell’uomo di avere una guida, di appartenere a un gruppo, a volte a scapito della propria identità. Come il cattivo psichiatra spesso il politico non vuole cambiare le cose ma affermare il proprio ego. Come si fa secondo lei una buona psicoterapia e una buona politica?

 

Giuseppe Lago: Il culto della personalità in politica per me ha un senso, anche se non mi riferisco ai dittatori o ai monarchi ma ai leader. Il leader deve essere al di sopra della massa in quanto rappresentante di essa. In questo, la penso come Eugenio Scalfari, il quale sostiene che la vera democrazia è una oligarchia, ossia il governo dei rappresentanti dei cittadini. D’altronde, un vero leader democratico si muove sulla spinta del consenso su un progetto e delle regole che per primo deve rispettare, pena la bocciatura nel voto. Non è la stessa cosa per lo psichiatra o psicoterapeuta. È vero che all’inizio quest’ultimo viene scelto più o meno liberamente. Meno libera però è l’adesione di una persona bisognosa e condizionata da limiti psicologici. Lo psicoterapeuta dovrebbe essere il “dictator” di pochi mesi, in attesa di una ripresa totale della personalità in panne del paziente. Non dovrebbe mettersi al posto dell’ideale di quest’ultimo, finendo per rappresentare il suo bene o il suo male. Il fattore comune accertato della psicoterapia è l’alleanza terapeutica non il carisma. Cioè, la funzione del terapeuta è l’affiancamento, non il traino o la “creazione” di un uomo nuovo alla Frankenstein. La psicoterapia che vale è quella democratica, dove il paziente è un contraente con pari dignità e può scegliere e diventare ciò che egli vuole. Lo psicoterapeuta si limita a ricordargli i suoi limiti e non solo ma anche le sue risorse, affinché la scelta del paziente sia più adeguata ed efficace. Ciò comporta che lo psicoterapeuta democratico non abbia modelli da ispirare al proprio paziente ma s’impegni a progettarne uno originale e funzionale alla vita di quest’ultimo.

 

A.Q.: Martha Weber è il personaggio cardine del romanzo; è attraverso lei che si contrappongono i metodi terapeutici di Livio e Adele. Martha racchiude le paure, la solitudine e la fragilità dell’essere umano. Entra a far parte del gruppo di villa Incom per guarire e invece, come lei stessa afferma “[…] in questi anni ho rischiato di perdere me stessa”. Villa Incom stessa è l’abbreviazione di incompleta. Il suo romanzo ha il potere di generare riflessioni sul nostro essere nel mondo, sul nostro modo di relazionarci. Quanto può aiutare la letteratura e la cultura in generale a prendere coscienza dei propri vuoti e a operare uno slancio verso il miglioramento?

 

Giuseppe Lago: Molto, molto più di quanto s’immagini. Questo è anche il motivo del fatto che, pur potendo riempire pagine e pagine di saggi e trattati di psicoterapia (come peraltro ho fatto negli anni passati), ho scelto di usare il metodo letterario e culturale per esporre a un pubblico più vasto i cardini di ciò che credo non dovrebbe riguardare solo psichiatri o addetti ai lavori ma le persone in genere, e quelle come Martha in particolare. Quelle come Martha sono la stragrande maggioranza delle persone e il loro comune denominatore è l’onestà intellettuale. Non ingannano e non vogliono ingannare se stesse e gli altri. Così piombano ogni tanto nella depressione e nella perdita dell’autostima, per l’incapacità di negare una propria sconfitta o di afferrarsi alla liana successiva per non cadere nel vuoto dell’apatia. Villa Incom è il luogo dove si riuniscono queste persone che pensano che esista una “completezza”, rispecchiata dalla spocchia affascinante di Adele. E invece l’incompletezza è degli esseri umani e chi non la mostra è un impostore oppure ha solo il buongusto di non mostrare le proprie ferite e le proprie carenze. Rassegnazione? Niente affatto! La completezza non può essere la protesi fallica della grandiosa Adele, determinata a nascondere anche la prosaica disgrazia di un marito suicida. La completezza è come una fata morgana che ci guida nel “seguir virtute e canoscenza”. Se qualcuno pensa di averla raggiunta, finisce sempre nel disumano e nell’astrazione. La Fuoriuscita, incompleta e ansimante, cerca un altro aiuto, dopo aver sperato per molti anni nel carisma di Adele. Il suo essere incompleta e umana offre a Livio Spada l’occasione per fare emergere dal profondo di lei una non meno incompleta ma sublime identità artistica.

 

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