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Intervista a NIGHTGUIDE

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INTERVISTA di iltaccuinopress

6 aprile 2018

«Dei vari aspetti del romanzo La Fuoriuscita colpisce subito la caratterizzazione minuziosa e realistica dei personaggi, non solo di quelli principali. Qual è l'essenza del protagonista Livio Spada e della sua controparte negativa Adele Lùssari, e a cosa si è ispirato per delinearli?».

 

Livio è un uomo normale, non nel senso della banalità ma in quello dell'affettività. Cioè si pone sempre sullo stesso livello dell'interlocutore, senza particolari trampoli culturali che ne indichino la superiorità. Non gioca a fare lo strizzacervelli o il mistico conoscitore ineffabile dei segreti della mente. Si basa sull'esperienza, per cui è psichiatra per deformazione professionale, ossia osserva e ricerca continuamente l'aspetto latente della realtà, non si limita a prendere atto del visibile, cioè solo del comportamento. Nello stesso tempo, Livio è refrattario alle teorie e alle ideologie. Inoltre, benché potrebbe non mancargli il fascino personale, detesta l'erotizzazione delle relazioni in funzione fascinatoria. Preferisce far riflettere che “far innamorare”, anche se le sue interpretazioni dei sogni sono cariche di pathos e di poesia. Potrei continuare, e mi rendo conto che sto parlando di tutto ciò che Adele non è, ossia del suo contrario. Adele ha bisogno della pedana dove affonda nella sua poltrona “quasi gestatoria”, nuova eminenza di una religione che di laico ha solo il protocollo verbale e metaforico della sessualità, dichiarata e gestita in tutti i modi fino a renderla pura forma, strappandola all'intimità dove di solito si svolge. Una religione nuova, perché mistico è tutto l'apparato, ossia il rito della seduta che dura diverse ore con un “grande gruppo”, o il continuo salmodiare citazioni dal suo libro e lanciare invettive contro chi non si adegua alla sua visione del mondo. Religiosa è la fede che pretende dai suoi seguaci, ai quali non viene mai la benché minima idea di contraddirla o di dichiararsi insoddisfatti dell'oracolo interpretativo che sciorina su di loro. Mistico e soprannaturale è il suo approccio col nuovo arrivato Livio, pensando il cervello di quest'ultimo sia già all'ammasso, pronto ad essere predisposto per la creazione di un clone capace di ripetere gli assunti di base della sua “psicoscienza”. E invece Livio non è capace di pensare che con la sua testa, come Martha La Fuoriuscita che, per quanto confusa, non si adegua e quindi fugge imbattendosi proprio nello stesso Livio, che l'aiuterà.


«La storia di Martha Weber è quella di tante persone che si affidano a una guida esterna, a volte inaffidabile, per ritrovare il filo della propria vita. È un personaggio molto umano, con cui ci si immedesima facilmente. Pensa che il suo romanzo possa aiutare chi si trova in difficoltà, chi ha smarrito la strada e cerca un'ispirazione per reagire?».

 

Me lo auguro di cuore. Se è vero che non odio Adele, posso però dire che amo Martha e la sua cristallina autenticità, di fronte alla setta, di fronte alla terapeuta che le soffia il fidanzato con la scusa di curarlo, di fronte al dramma dell'amica che si autodistrugge. Del resto Martha è un'artista e il suo approccio è quello dei segni e dei sogni, per cui immagina ma non è mai sicura di quello che vede. Deve incontrare Livio per scoprire il piacere dell'evidenza inoppugnabile della riflessione intelligente, per scoprire che una relazione autentica spacca letteralmente il cristallo delle credenze e delle paure accumulate per anni, prima di scappare, di fuoriuscire. Sarei veramente felice se coloro che leggessero il libro, trovandosi in analoghe condizioni, potessero reagire come Martha, svegliandosi da un sonno non della ragione ma del pensiero innanzitutto inconscio, che una volta capito diventa verbale.

«Quale personaggio de La Fuoriuscita rispecchia maggiormente la sua visione dell'umanità e della professione di psicoterapeuta?». 

 

Naturalmente mi ritrovo in Livio Spada e nella sua sobria identità professionale. Come dicevo prima, è innanzitutto un medico e non potrebbe mai diventare un mistico o un clone di Adele o di chicchessia, dimenticando così di essere legato non solo al giuramento di Ippocrate ma ad una visione del mondo esente da pregiudizi e da considerazioni di ordine morale. “Al di là del bene e del male”, si potrebbe dire parafrasando il celebre filosofo, il medico ha come scopo la cura e ha pure il diritto di agire secondo scienza e coscienza. Nello stesso tempo “primum non nocere”, ossia il medico non può ledere più di tanto ai fini di cura (occorre il consenso informato) e soprattutto non può imporre la sua visione del mondo politica o filosofica, svalutando quella del paziente oppure imponendogli di aderire alla propria. In tal senso, la mia visione è agli antipodi di quella gestita dai tipi come Adele, i quali partono dal presupposto di detenere la verità anche profonda e di svelarla al soggetto che richiede un intervento di psicoterapia, cooptandolo in una serie di iniziazioni, dall'acquisto e lettura di certi libri, al sostegno di determinate ideologie politiche, fino all'acquisto di oggetti e gadget inventati dal terapeuta carismatico e diffusi nell'ambiente sociale come emanazioni dello stesso. Insomma, se non si fosse capito, nell'ambiente della psicoterapia sussistono ancora modelli contrapposti e in completo disaccordo. Personalmente propendo per il modello più scientifico che si è andato affermando negli ultimi vent'anni. Il modello precedente è molto filosofico per cui è stato spesso rappresentato da capiscuola e maestri autoreferenziali.

«Il “grande gruppo” di Villa Incom è una setta mascherata da centro di psicoterapia, in cui si millanta di offrire aiuto al paziente per raggiungere l'autorealizzazione. Una volta entrati si è soggetti a un lavaggio del cervello che sottopone il malcapitato a costrizioni e umiliazioni. Come è possibile interferire in modo così profondo nella psiche di una persona potenzialmente sana?». 

 

In parte ho già provato a spiegare quanto posto in questa domanda. Tuttavia, è sempre difficile spiegare il perché di un'adesione ferrea e il perché dell'accettazione di costrizioni e umiliazioni incluse nell'adesione stessa. Conta molto, in campo psicologico (non mi occupo di quello religioso) la promessa di far parte di un gruppo speciale, addirittura di una ricerca mai vista prima, ossia di un luogo imprescindibile che è un “dono” solo poter frequentare e “abitare”, come se per osmosi esso potesse trasferire qualità importanti. Come si vede, il misticismo gioca molto anche se ammantato di psicoanalisi maldigerita e giustificato dal contraltare materialistico e banalizzante della vita quotidiana. I più attratti, però, sono ignoranti, nel senso che non hanno mai veramente studiato o conosciuto materie filosofiche o cliniche. Così, nell'assistere a un concentrato di cultura, riveduto e corretto dal guru, se lo afferrano e lo imparano a memoria, spesso lo ripetono a pappagallo, leggendolo sul libro/vangelo del carismatico e negli scritti delle sue propaggini, composte da un cerchio magico di discepoli contenti di fare ala al personaggio e così riceverne un indiretto imprimatur. Costrizioni e umiliazioni sono alla base del potere carismatico. Di fronte al guru, ogni titolo sociale, culturale, familiare decade. Egli può insinuare e colpire senza remora l'autostima e l'equilibrio del seguace, perché venendo da lui quest'ultimo ha rinunciato ai diritti civili garantiti nella società reale. Ecco il motivo per cui, insieme a tanti illusi, nei gruppi carismatici circolano tanti furbetti i quali, assecondando le aspettative del guru (cioè offrendosi come materia prima del carisma) ci guadagnano (sia economicamente che socialmente), approfittando dell'alone che circondando il capo li lambisce anche di poco ma ne fa emergere il legame indissolubile con lo stesso. Insomma, se volete i seguaci del carisma si dividono sostanzialmente tra fessi e profittatori, con un passaggio tra l'una e l'altra condizione anche all'interno dello stesso soggetto in epoche diverse.

«Che canzone o genere musicale sceglierebbe per descrivere i personaggi principali del suo romanzo?».

 

Sono un amante del jazz e ritrovo nel mio libro la struttura di questa musica che mi affascina. Nel jazz, il genere migliore si gusta in trio o quartetto, dove ogni strumento ha il suo momento di protagonismo, inframmezzato con tutti gli altri che si alternano. Bene, i miei personaggi fanno così, hanno il loro momento centrale e poi rimangono intorno senza mai scomparire del tutto. Così, anche il “grande gruppo” potrebbe essere un'orchestra alla Duke Ellington, anch'essa piena di solisti che si alzano per l'assolo e rimangono più sfumati, per riemergere.

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