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05 Ott 2017
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BABELE N. 18/2001

Riassunto: Prospetto di una personalità e di un carattere.

 

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Chi sono i narcisisti normali? Sono malati?

Oppure sono solo i vituperati rappresentanti di quella quotidiana capacità di farsi valere, portando avanti se stessi piuttosto che gli interessi di un gruppo o dell'intera società?

Il mito di Narciso, che sta sullo sfondo, contiene già al suo interno tutti gli elementi che aiutano a capire la modalità di relazione di questi soggetti con se stessi e con gli altri.


Eco, la ninfa delusa dall'indifferenza del bel Narciso, si lascia morire fisicamente, ma la sua voce risuona nell'ambiente invitante e lontana.

Narciso prova interesse solo per la propria immagine riflessa nell'acqua; egli però non la riconosce come immagine di sé, cosicché muore per il dolore di non potersi congiungere con essa.


La metapsicologia freudiana ci ha abituati a definire il narcisismo “amore per se stessi”, per via della libido rivolta verso I'Io, ma le successive elaborazioni post-freudiane hanno contribuito ad allontanare il narcisismo dal tema dell'amore.

I narcisisti non amano nessuno, neanche se stessi.

Sono sordi, come il bel Narciso alla voce di Eco e disposti a vedere negli altri soltanto il prodotto delle loro ambiziose aspirazioni.

Gli altri non sono buoni per qualche loro specifica qualità ma in quanto confermano l'identità anelata dal soggetto, ossia un posto di rilievo, ovviamente, ottenuto con orgoglio, disprezzo, autosufficienza, vanità e superiorità.


Ecco che, sottratto al tema dell'amore, il narcisismo dimostra di essere più attinente al tema dell'identità, cioè al tema della ricerca affannosa e instancabile di una validità dell'Io, confermata innanzitutto nel contesto sociale.


La povera Eco non ha scampo, perché continua a parlare del proprio amore, risuonando all’infinito per monti e per valli.

Se fosse meno ingenua capirebbe che non di sé deve parlare, ma di colui che ama, restituendogli quell'immagine bella cui egli aspira, e togliendolo così dall'angoscia di essere brutto, inutile e vuoto.


I narcisisti, infatti, non amano il loro vero Sé fragile e incerto, che minaccia crisi ad ogni piccola disconferma inferta dall'esterno.

Tanto non si amano che proiettano il loro essere vulnerabile negli altri, in particolare in coloro che non si mascherano e mostrano i propri sentimenti senza timore di essere giudicati, senza vergogna.


La vergogna: ecco un altro tema da accostare a quello dell'identità per connotare la modalità del narcisismo.

Le crisi dei narcisisti non seguono, infatti, un drammatico bilancio in cui essi si riconoscono colpevoli di qualcosa, rimproverandosi scelte e azioni indegne.

Le crisi dei narcisisti avvengono nel momento in cui qualcuno degli altri, ossia di coloro che sono diventati i loro oggetti-Sé sparsi nell'ambiente, reagisce, come i burattini nel teatro di Mangiafuoco, rifiutando il giudizio e la condanna, che prima erano diretti contro di lui secondo la classica dinamica dell'identificazione proiettiva.


I narcisisti normali hanno paura di questa reazione, perché non si svolge secondo il solito schema del sadomasochismo, e quasi sempre fuggono alla ricerca di oggetti-Sé più compiacenti.

Talvolta sono ingannati dal loro stesso senso di onnipotenza e scambiano la calma di qualcuno per compiacenza e la non-violenza per acquiescenza; così accade che si facciano trovare impreparati e confidino nella passività di chi, diverso da loro, è vitale e affettivo.


La “rivolta dell'oggetto-Sé” può costituire un dramma che conduce alla frammentazione della maschera del falso-Sé, svelando nei narcisisti la bruttezza, debolezza e impotenza del loro Sé interiore, esposto così al “pubblico ludibrio”.

Il timore assoluto della vergogna spinge i narcisisti alla ricerca continua e incessante del consenso sociale, del plauso e dell'ammirazione, veri e propri carburanti del Sé-grandioso e delle sue maschere.

Alcune professioni e attività sembrano fatte apposta per appagare le smanie narcisistiche più ambiziose.

Viene il dubbio se alcuni siano già narcisisti al momento di scegliere professioni come quella del giornalista televisivo, dell'attore, del regista, del politico ecc., oppure vadano incontro a una specie di deformazione professionale che li porta alla perversione della normale tendenza a vivere gli affetti nelle relazioni umane.


Il fatto è che, a monte della modalità narcisistica, si trova spesso un nucleo depressivo molto forte, non tanto legato al senso di perdita, che è già qualcosa di evoluto e indica nel rapporto oggettuale la strada per risolvere la crisi, quanto legato al senso del vuoto, cioè a una fredda disamina della propria impotenza ad amare e a sentirsi attratti da una relazione affettiva.


Per sfuggire al senso del vuoto, i narcisisti diventano affabili e simpatici, seducono, insomma, sicuri di contare sugli affetti altrui e sulla recettività di tutti nei confronti della bellezza e del fascino, ma soprattutto della disinvoltura e dell'autostima esibite a tutto campo.

La maschera del falso-Sé che ne deriva non è rigida, come quella dei narcisisti più gravi, schizoidi e schizofrenici, bensì adeguata e mobile, in quanto perfettamente sintonica al variare dell'altrui coinvolgimento, valutato come un vero e proprio indice di gradimento da tenere alto con manovre e accorgimenti tattici intesi a suscitare interesse nel bene e nel male.

Niente manierismi patologici o caricature bizzarre, quindi, nei nostri narcisisti normali; solo l'ambizione di vivere sulla cresta dell'onda, ammirati e invidiati da tutti.


Così, ancora una volta, il tema dell’amore si discosta dal narcisismo.


Non sanno che farsene, i narcisisti, dell’amore altrui, anche perché lo slancio affettivo che si cela nell’amore li indispone e li fa sentire freddi e annoiati quali sono; preferiscono invece l'invidia, il morso sulle labbra di chi li ammira e soprattutto crede ancora che il bello e il buono siano qualità che si trovano fuori di sé, in persone diverse da se stessi e favorite dalla fortuna.

Questo tipo di invidia, però, nasconde l'amore, il desiderio di avere per sé qualità importanti dell’altro, che viene idealizzato ma accettato, fino al punto di volersi avvicinare all'oggetto del desiderio ed esserne investito positivamente, lasciandosi andare a una posizione recettiva anche se non passiva.


I narcisisti temono questo pubblico, lo vivono come captante, vorace, persecutorio; vogliono che tra sé e loro ci sia sempre un divario incolmabile, al fine di perpetuare l'ammirazione.

Si pongono verso il pubblico certi di avere un privilegio aristocratico che li fa appartenere a un club per pochi eletti, lasciando il volgo nello spazio plaudente dell'anonimato.


Quella dei narcisisti è quindi un'invidia nera, un atteggiamento distaccato e ipercritico che li fa essere sprezzanti e cattivi con coloro che li adorano, per la consapevolezza di esserne in qualche modo dipendenti, di essere in balia del loro consenso, venendo a mancare il quale il proprio Sé-grandioso sarebbe costretto a ridimensionarsi, con schricchiolii e crolli probabili quanto temuti.


Non si pensi, però, che i narcisisti normali siano solo coloro che hanno un censo elevato o si restringano nella categoria dei guitti, saltimbanchi e uomini e donne-immagine dei nostri mass media.

In ogni gruppo, in ogni piccola comunità, fino alle collettività di estensione mondiale, la modalità narcisistica è la stessa.

La ragazzetta di borgata o di paese che non lesina gli attributi di una sessualità procace, come se fosse la sola ad averli; oppure l'intellettuale fatuo che agita i concetti appresi a memoria, citando a braccio per lasciare tutti di stucco, come se solo lui sapesse leggere; e ancora il politico smargiasso che promette libertà, sapendo che l'unica che conta è la sua libertà di mentire, sono solo alcuni esempi della modalità polimorfica dei narcisisti normali.


Il mito dell'identità, della riuscita personale e professionale si confonde purtroppo con lo strombazzamento sul successo e sulla gloria a buon mercato.

Allora, per uscire dal groviglio, bisognerebbe ritornare al mito di Narciso, considerando la versione di Pausania, nella quale Narciso ha una sorella gemella che muore ed egli, inconsolabile, pur sapendo perfettamente che non si tratta della sorella, prende l'abitudine di guardarsi nell'acqua per ritrovare qualcosa di lei.

Quest'ultimo è un narcisismo meno grave; in esso c'è la stessa pervicacia con cui il protagonista della Gradiva di Jensen cerca disperatamente l'immagine amata nel bassorilievo e, in quanto ne conserva il ricordo, può ritrovarla poi nel corpo vivente della donna reale.


Il compito degli psicoterapeuti, quindi, sembra essere quello di collegarsi con questo ideale dell'Io narcisistico e creare un ponte perché il soggetto riconosca un'immagine diversa fuori di sé, e perché finalmente abbia il coraggio di togliersi la maschera che gli inaridisce gli affetti.


Solo a questo punto si potrà cercare una identità, a partire da ciò che è interno e autentico.

L'espressione di questa identità potrà assumere il carattere di maschera, rappresentazione, forse anche teatralizzazione più o meno seduttiva, ma non sarà un narcisismo patologico, isterico può darsi, ma improntato alla ricerca dell'oggetto del desiderio, dell'amore proprio e dell'affetto dell'altro.

 

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