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13 Ott 2017
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IDEE IN PSICHIATRIA VOL. 5(2) 2006

Il titolo è volutamente provocatorio, ma la provocazione non è diretta, come si potrebbe facilmente immaginare, a coloro che sono estranei all'uso del farmaco e non vi ricorrono come strumento nella pratica clinica, gli psicoterapeuti non medici, ad esempio: bensì proprio a coloro che i farmaci dovrebbero conoscerli e applicarli.

 Idee

In effetti, nei molti anni di pratica psichiatrica e psicoterapeutica, nelle strutture pubbliche e private, abbiamo trovato più disponibilità a uscire da rigidi paradigmi culturali (e da ideologie riduzionistiche in senso biologico o psicologico), presso i colleghi psicologi clinici non medici che presso gli psichiatri i quali, per formazione, dovrebbero riservare una maggiore disponibilità agli indirizzi capaci di integrare conoscenze biologiche e psicologiche.


La provocazione, quindi, è intenzionalmente diretta alla classe medica in genere e a quella psichiatrica in particolare.


La tendenza a isolare l'aspetto organico dell'individuo dalla realtà mentale, che le conoscenze attuali confermano doversi integrare senza mezzi termini nel contesto biologico della presenza umana, impedisce che illustri colleghi, anche dotati di un'intelligenza fuori del comune, sentano la necessità di ampliare la loro visuale e sostituire la concezione scissa dell'uomo con un ottica integrata, che tenga conto della compenetrazione delle due componenti, biologica e mentale, nelle quali la personalità si articola.


Nonostante le numerose conferme, ottenute nel corso degli anni, di un'azione efficace che supera la semplice sommazione dei due interventi isolati, di volta in volta basati su Psicoterapia o su Psicofarmaci, rimane ancora in piedi una convinzione, in gran parte mantenuta da specialisti di estrazione medica, che la Psicoterapia equivalga all'uso della parola ed escluda qualsiasi forma di prescrizione di farmaci e, viceversa, i farmaci bastino da soli ad esaurire l'intervento terapeutico di uno psichiatra.


Ovviamente, non ci soffermeremo a valutare il perché di tale atteggiamento, in quanto non è questo l'argomento che vogliamo trattare.


Tuttavia, ci sembra indispensabile spiegare perché si faccia difficoltà a integrare ciò che l'esperienza dimostra come interdipendente e quali sono, in un campo e nell'altro, gli impedimenti al raggiungimento di una base comune che giustifichi un analogo punto di partenza per interventi che hanno il medesimo obiettivo di riequilibrare la personalità dell'individuo e far procedere lo sviluppo mentale umano verso tappe evolutive più avanzate.


E' significativo partire da un parere favorevole come quello di Sigmund Freud, a un anno dalla morte:

 

“…può darsi che in futuro qualcuno ci insegnerà come influenzare direttamente con speciali sostanze chimiche, le qualità energetiche e la loro ripartizione nell’apparato psichico. E forse verranno alla luce altre potenzialità della terapia che adesso non possiamo neppure sospettare. “ (1938)

 

Come si vede, ormai alla fine del viale del tramonto, Freud intuisce che la sua terapia possiede potenzialità che solo lo sviluppo in senso neurobiologico potrebbe ad essa riservare.


Ciò non ha impedito che la resistenza (paradossale, a pensarci bene) alla integrazione di due interventi che l'evoluzione scientifica offriva, si sia manifestata ad opera di chi della lezione di Freud avrebbe dovuto tener conto, almeno per l'appartenenza alla Scuola da lui stesso fondata.


Comunque, il rapporto tra Psicoanalisi e Neuroscienze, per quanto denso di interesse e di novità, sicuramente da approfondire in altra sede, non è il tema che ci siamo proposti.


Il nostro tema ci riporta, invece, all'analisi delle condizioni per le quali si possa serenamente integrare la somministrazione di psicofarmaci nella Psicoterapia, e in quella psicodinamica in particolare.


Cominciamo, allora, con l'elencare alcune delle difficoltà che, a nostro avviso, hanno reso e rendono ancora difficile l'integrazione tra farmaci e Psicoterapia Psicodinamica.

 

L'integrazione difficile
La creazione di due blocchi contrapposti, rappresentati dall'ipotesi psicodinamica e dall'ipotesi neurobiologica, ha animato confronti e scontri per gran parte del Novecento.

Come accadeva in passato nella politica internazionale, la presenza dei due blocchi, anziché tendere dialetticamente a una sintesi, ha voluto dire scissione e dislocazione costante di paradigmi, i quali avrebbero dovuto trovare uno sbocco comune, o comunque dei punti di contatto, capaci di tradurre le reciproche concezioni nel linguaggio antitetico.


Se andiamo a verificare, invece, vediamo che la ricerca neurobiologica per anni ha fatto di tutto per ignorare o sottovalutare le dinamiche intrapsichiche e interpersonali.


D'altro canto, la Psicoanalisi, dopo il periodo di massima affermazione (anni '30-'60 del Novecento), si è arroccata in uno splendido isolamento, confermando il suo metodo basato essenzialmente sulle inferenze della metapsicologia.

Quest'ultima, proposta come risorsa per compensare la povertà dei dati obiettivi offerti dalla Psicologia, ha finito per costituire un impianto speculativo tale da cristallizzare in modo acritico le vedute arcaiche della neurofisiologia dei tempi di Freud. 


Con questo, abbiamo proposto solo quelli che crediamo i principali atteggiamenti culturali responsabili delle difficoltà trovate dall'integrazione tra farmaci e Psicoterapia Psicodinamica.


Non ci nascondiamo, però, che i motivi di questa mancata integrazione sono molteplici e non facilmente evidenziabili.

Tuttavia, come ignorare che l'integrazione sia venuta a mancare a causa del tentativo di minimizzare o mettere tra parentesi uno dei due aspetti della realtà umana (mente/corpo), con la motivazione che occorre occuparsi di ciò che è ritenuto di volta in volta essenziale: la mente o il cervello?


Di conseguenza, riduzionismi di natura opposta si sono occupati di costruire epistemologie autoreferenziali e, per così dire, autarchiche, con la costante vocazione a occupare la scena del dibattito scientifico, senza alcuna consapevolezza dei propri limiti.


Così, il riduzionismo biologico ha sostenuto per anni un determinismo inteso a ignorare l'influenza ambientale, a favore di ipotesi genetiche ritenute sufficienti a spiegare la presenza e il decorso dei disturbi mentali.


La Psicoanalisi, a sua volta, sulla base delle già citate inferenze e illazioni, ha preteso di portare la propria capacità di teorizzazione fuori dal contesto di qualsiasi reale verifica, dando luogo a errori e posizioni dogmatiche.


Pur se questa non può essere la sede per un'esauriente disamina di ciò che, in campo psicodinamico, ha impedito l'integrazione con le conoscenze in campo neurobiologico, tuttavia vogliamo accennare in modo sintetico almeno a tre impedimenti concettuali di tale integrazione, non ancora definitivamente superati dalla cultura psicoanalitica, e quindi in grado di funzionare come assunti di base che condizionano l'incontro ottimale della Psicoanalisi stessa con la ricerca neurobiologica.


Seguendo le acute riflessioni di Holt (1989), condividiamo la visione, secondo la quale, il concetto di energia (libido) freudiano, e di conseguenza quelli di pulsione e investimento, siano lontani da ogni evidenza scientifica, appartenendo piuttosto a residui di una concezione vitalistica, presente tra l'altro in tutte le interpretazioni religiose della realtà naturale.


Lo stesso concetto di pulsione di morte, posto alla nascita dell'individuo dalle concezioni post-freudiane, viene contestato ormai anche in campo psicoanalitico.

Al momento attuale, ben pochi insistono col sostenere l'esistenza di una dimensione istintiva primariamente aggressiva. La maggior parte concorda nel considerare l'aggressività (fisica o mentale) come reazione adattativa (secondaria) di difesa (Migone, Rabaiotti, 2003).


Dalle formulazioni metapsicologiche post-freudiane, emerge ancora un caposaldo del riduzionismo psicoanalitico, anch'esso, a nostro avviso, da includere nei residui di una concezione vitalistica della natura umana.

Tale è il concetto di "originaria struttura egoica unitaria" di Fairbairn (1952) che, stabilendo un Io psichico alla nascita, soddisfa le esigenze di riabilitare l'idea religiosa dell'anima, e con essa la presenza ab initio di un'entità non materiale che prescinda dalla necessità di un'evoluzione post-natale della mente, a partire dal substrato neurobiologico.

 

La visione integrata strutturale
Il nostro discorso si vuole snodare, allora, verso la ricerca di ciò che occorre perché si realizzi un'integrazione tra i due paradigmi citati.


Sicuramente occorre:

- una visione unitaria del rapporto mente/corpo
- un common ground per spiegare l'integrazione mente/cervello
- una spiegazione dell'origine della mente da cui partire per una ricerca integrata neurobiologica e psicodinamica
- il superamento della contrapposizione tra intervento psicologico e intervento biologico, contrapposizione che risale alla scissione metodologica cartesiana.

 

Chiamiamo visione integrata strutturale (VIS) quella che ci consente di stabilire una connessione, sia evolutiva, sia funzionale, tra la mente e il corpo. All'interno della VIS, siamo in grado di proporre un'origine della mente che sia capace di mettere insieme concezioni neurobiologiche e psicodinamiche. 


Mediando da Bion (1962) il concetto di Protomentale, ci avviciniamo a definire la base comune da cui possiamo far partire una VIS, essendo il Protomentale stesso una condizione psicorganica, nella quale si incontrano tendenze innate ed esperienze di adattamento ambientale.


Il Protomentale rappresenta, quindi, il common ground dell'integrazione mente-cervello, ossia il livello mentale primario che, riunendo insieme lo sviluppo neurobiologico e psicodinamico, prelude allo sviluppo mentale successivo, rappresentato dal Pensiero Inconscio e dal Pensiero Verbale (Lago, Petrini, Balbi, 2003).

In quanto common ground, il Protomentale costituisce il punto d'incontro di varie teorie che fanno riferimento all'attaccamento (Bowlby, 1969) e alle relazioni oggettuali.


Grazie alla concezione del Protomentale è possibile evitare l'utilizzo degli assunti di base di matrice metapsicologica della Psicoanalisi.


La fase di attaccamento primario è da considerarsi, infatti, una modalità di comportamento precondizionata geneticamente, come accade per altre specie; pertanto è attivata dallo stimolo ambientale, a prescindere dall'esistenza di energia libidica, istinti o pulsioni.


Da risposta precondizionata geneticamente, l'attaccamento si presta a diventare un'attività relazionale della coppia neonato-caregiver, in grado di evolvere insieme allo sviluppo del SNC del neonato stesso.

In virtù dell'evoluzione della relazione neonato-caregiver, avverrà una trasformazione dalla mente emotiva poco organizzata che precede la formazione del simbolo, ossia il Protomentale, verso il Pensiero Inconscio.

Quest'ultimo costituisce, quindi, il risultato del primo processo di mentalizzazione, rappresentato dalla formazione prelogica e prelinguistica di immagini mentali direttamente derivate dalle relazioni primarie e fissate nella memoria implicita ed esplicita del soggetto.

Il Pensiero Inconscio, non presente alla nascita, è il livello mentale che comprende le suddette immagini mentali e produce (in questo senso è pensiero) fantasie inconsce, cioè il risultato della fusione di elementi della memoria implicita e della memoria esplicita del soggetto, organizzati (simbolizzazione) in forma originale e creativa, e che possono diventare coscienti nel materiale onirico.


Anche il Pensiero Inconscio è un livello essenziale per lo sviluppo della mente.

In seguito a un secondo processo di mentalizzazione, avviene una trasformazione a partire dal Pensiero Inconscio, la quale richiede la maturazione completa del SNC ed il raggiungimento di una capacità elevata di simbolizzazione.

Il secondo processo di mentalizzazione dà luogo al Pensiero Verbale, il quale si affianca al Pensiero Inconscio, al fine di svolgere un'attività più specifica, caratterizzata da produzioni concettuali coerenti e realizzazioni creative (ad es. opere d'arte) frutto di fantasie di veglia, direttamente derivate da fantasie inconsce.


A sviluppo ultimato, il Protomentale, pur essendo un livello evolutivo, non scompare del tutto ma, nell'adulto, si esprime con modalità emotive ed affettive e si configura come base sicura (sviluppo completo) o base insicura (sviluppo incompleto), dando luogo, nel primo caso (base sicura) a una quota ridotta e variabile, del tutto compatibile con un equilibrio di personalità non patologico; nel secondo caso (base insicura) a manifestazioni tali da ricondurre a un equilibrio di personalità che può diventare patologico (eccesso di Protomentale).


Le manifestazioni del Protomentale possono consistere in ansia, depressione, euforia, rabbia, dissociazione, depersonalizzazione, compulsione, etc., cioè espressioni emotive ed affettive che appartengono al normale patrimonio di reazioni psicofisiologiche emozionali nei confronti di stimoli ambientali di vario genere, che possono agire nel corso dello sviluppo e si stabilizzano, grazie alla fissazione nella memoria implicita del soggetto, divenendo così forme reattive individuali, entro certi limiti quantitativi e qualitativi, non patologiche. 


Data l'affinità con le strutture cerebrali (sistema limbico, gangli della base, amigdala, corteccia premotoria) implicate nelle emozioni (il Proto sé di Damasio, 1999), il Protomentale si presenta, quindi, come una qualità inconscia (inconscio protomentale) diversa dal Pensiero Inconscio (inconscio rimosso).

Quest'ultimo, infatti, è richiamabile alla coscienza ed eventualmente traducibile in parola (Pensiero Verbale).

Il Protomentale, invece, rimane inconscio e non trasformabile in parola; casomai, evocabile mediante una nuova esperienza emozionale, a partire da una stimolazione sensoriale che riattivi la memoria implicita del soggetto.


Si vengono, quindi, a configurare due forme di inconscio nella mente del soggetto normale. Un inconscio emotivo e reattivo (Protomentale), assolutamente dipendente dalla struttura cerebrale primitiva (Proto sé) a dal modo nel quale essa si è adattata all’ambiente nel corso della storia individuale.

Un inconscio rimosso (Pensiero Inconscio), risultato dello sviluppo del SNC e della trasformazione delle esperienze di relazione significative in immagini mentali.

La naturale tendenza allo sdoppiamento dei due inconsci dovrà essere opportunamente compensata dall’attività integrativa che è funzione del cervello maturo e dell’evoluzione della personalità.


L’attività integrativa della mente è un processo (mentalizzazione) in parte inconscio (Pensiero Inconscio), in parte cosciente (Pensiero Verbale).

Dall’attività integrativa della mente dipende l’equilibrio della personalità e il mantenimento della coerenza tra i due principali aspetti del sé (mente/corpo).

L’integrazione è il frutto di un lavoro mentale, che non può prescindere da una necessaria ricomposizione di antinomie tendenti allo sdoppiamento, tali come: mondo esterno/mondo interno, natura/cultura, cervello/mente, emozione/pensiero, etc.


Ovviamente, carenze di sviluppo, traumi, eventi destrutturati, di natura biologica o mentale, avranno il potere di condizionare l’attività integrativa della mente adulta e condurre allo sviluppo di patologie mentali.

 

Psicoterapia e Psicofarmaci
L'ambito del Protomentale sembra essere lo stesso in cui si svolgono quelle modificazioni che conducono alla formazione della memoria implicita nelle relative aree cerebrali (aree).


Allo stesso modo il Pensiero Inconscio avrebbe una corrispondenza con le aree cerebrali interessate nella fissazione della memoria esplicita o autobiografica (ippocampo etc.).


Secondo Kandel, sia l'azione degli psicofarmaci, sia gli effetti della Psicoterapia, in particolare di quella psicodinamica, sono in grado di condizionare la memoria implicita, influendo sulle modificazioni stabili delle emozioni:

 

“…è intrigante suggerire come la psicoterapia che finora ha avuto successo nell’indurre cambiamenti sostanziali del comportamento, produca altresì modificazioni dell’espressione genica che inducano nuovi cambiamenti strutturali nel cervello. Questo ovviamente è già possibile per il trattamento psicofarmacologico…L’uso congiunto di farmaci e psicoterapia potrebbe avere successo specialmente per un potenziamento interattivo e sinergico, non solo aggiuntivo, dei due interventi. Il trattamento psicofarmacologico può aiutare a consolidare i cambiamenti biologici causati dalla psicoterapia.” (1998)

 

Il punto di vista di Kandel ci porta a ipotizzare che, nella Psicoterapia, prima ancora della parola, agirebbero fattori emotivo-affettivi in grado di modificare l'organizzazione strutturale del cervello, anche se soltanto nell'indurre un'alterazione dell'espressione genica che produce cambiamenti nel tipo di connessioni tra le cellule nervose.


Farmaci e Psicoterapia convergono, quindi, nell'azione sul livello Protomentale, valorizzando la componente emotivo-affettiva dell'intervento, altrimenti detta in termini psicodinamici: empatia, contenimento, fase supportiva, momenti di significatività interpersonale, esperienza emozionale correttiva etc.


La considerazione del Protomentale permette allo psichiatra di inquadrare nel contesto generale della personalità le manifestazioni già citate, quali: ansia, depressione, euforia, rabbia, dissociazione, depersonalizzazione, compulsione, cioè espressioni emotive e affettive che come si diceva appartengono, entro certi limiti, ad una capacità reattiva di per sé non patologica.

La patologia non si identifica, allora, nelle manifestazioni del Protomentale ma nell'arresto del processo di mentalizzazione, ossia nella crisi dell'evoluzione congiunta della struttura cerebrale e della struttura mentale, quest'ultima vista come il prodotto della trasformazione in immagine mentale delle esperienze emotivo-affettive.


Seguendo l'invito di Kandel a considerare quanto la modificazione strutturale del cervello sia dipendente dallo stimolo ambientale, equiparando stimolo biochimico indotto dal farmaco e stimolo biochimico indotto dalla relazione emotivo-affettiva, proponiamo il nostro punto di vista, teso a dimostrare che ambedue gli stimoli favoriscano il processo di mentalizzazione, il quale opera la trasformazione del Protomentale in immagine mentale, ovvero in Pensiero Inconscio.

Così come i farmaci agiscono, infatti, attivando la struttura cerebrale (amigdala, sitema limbico, ippocampo, corteccia prefrontale etc.), la relazione terapeutica può agire attivando le stesse strutture, mediante la fissazione, nelle configurazioni neurali della memoria a lungo termine, di immagini mentali riguardanti la relazione d'attaccamento con lo psicoterapeuta, le quali possono costituire il fulcro del riequilibrio della struttura mentale del paziente.

 

La Psicoterapia Psicodinamica Integrata
Con la Psicoterapia Psicodinamica Integrata (PPI), proponiamo un intervento ordinato sui tre livelli mentali, espressione della personalità e del suo sviluppo:

 

- Protomentale
- Pensiero Inconscio
- Pensiero Verbale

 

Rimandando a un lavoro più approfondito l'esposizione di questo recente indirizzo scientifico-culturale, da noi stessi proposto (Lago, Petrini, Balbi, cit.) e riconosciuto dal MIUR (GU 3.08.2004), specifichiamo che l'intervento biologico assume nella PPI la funzione di produrre cambiamenti strutturali, come la neurogenesi e la modificazione dei circuiti sinaptici, che contribuiscono allo sviluppo mentale del soggetto, offrendogli nuove modalità di elaborare gli stimoli ambientali.


Tra tutti gli stimoli ambientali auspicabili, crediamo determinante la relazione terapeutica, la quale nella PPI costituisce il contesto in cui avvengono quelle trasformazioni che abbiamo definito primo e secondo processo di mentalizzazione. Nella PPI, l'uso della parola nella relazione empatica precede l'uso della parola che ricostruisce e interpreta.


Si viene così a creare una prima funzione vicariante del terapeuta, il quale innanzitutto cerca di consolidare la fiducia di base del paziente, permettendo l'instaurarsi di una nuova relazione d'attaccamento, da cui partire per favorire lo sviluppo del pensiero, innanzitutto inconscio.


Il lavoro di consolidamento o ricostituzione della fiducia di base del paziente, attraverso la relazione terapeutica, può essere definito anche come lavoro sul Protomentale, avvalendosi, in tal senso, sia dell'apporto dei farmaci, sia della interiorizzazione della relazione d'attaccamento, congiunti nel raggiungimento di un obiettivo comune, cioè: la modificazione strutturale del cervello e la trasformazione strutturale della mente.


Per trasformazione strutturale della mente, intendiamo il processo di mentalizzazione (Fonagy, Target, 2001), ovvero la formazione di immagini mentali, a partire dalle esperienze emotivo-affettive protomentali. Come si è detto, le immagini mentali altro non sono che Pensiero Inconscio, ossia contenuti rimossi che sintetizzano le esperienze di relazione affettiva e vanno a costituire il primo patrimonio simbolico del soggetto, ossia immagini rimosse ma richiamabili alla coscienza. 


Laddove il Protomentale è assolutamente inconscio e non richiamabile alla coscienza, perché non è immagine mentale ma traccia di esperienza emotiva, elemento immaturo e reattivo di natura psicobiologica, il Pensiero Inconscio è la testimonianza dell'avvenuta maturazione mentale (mentalizzazione) che il soggetto può operare in modo spontaneo o con l'aiuto di uno psicoterapeuta che applichi la PPI.


Il lavoro sul Protomentale, a nostro avviso, costituisce la parte preponderante dell'intervento terapeutico in Psichiatria e consente di ricondurre quest'ultimo al "massimo" comun denominatore della Psicoterapia Integrata con l'uso dei farmaci psicotropi.


La relazione terapeutica, comprendente anche l'uso dei farmaci, avrà quindi l'obiettivo di ristabilire la sanità di base, intervenendo in quelle situazioni (innanzitutto, psicosi e disturbi di personalità) nelle quali non si sia potuta consolidare un'esperienza sicura di attaccamento e si sia arrestato, in vario modo, il processo di mentalizzazione, con il risultato di aumentare la quota di Protomentale presente nell'organizzazione della personalità.


L'eccesso di Protomentale nella personalità, oltre ad esprimersi in varie manifestazioni emotivo-affettive già citate (depressione, angoscia, euforia etc.), produce altre manifestazioni dovute alla difficoltà della mentalizzazione e quindi della formazione di immagini mentali nel Pensiero Inconscio del soggetto. L'eccesso di Protomentale incide sulla formazione del pensiero (prima inconscio, poi verbale), per cui è all'origine dei cosiddetti disturbi del pensiero (allucinazioni, deliri), ovvero l'essenza di cui sono costituiti gran parte dei disturbi mentali gravi.

 

Conclusioni e prospettive
La concezione del Protomentale, così come l'abbiamo delineata, si presta ad applicazioni che, in modo analogo alla PPI, vedano finalmente riuniti l'intervento biologico e psicodinamico. Il Protomentale costituisce un common ground per valutare i risultati di terapie integrate anche dal punto di vista teorico e scientifico-culturale.


A questo proposito, è interessante riprendere alcuni dati recenti che la ricerca neurobiologica ci mette a disposizione.


L'azione di psicofarmaci e metodi di intervento come la PPI non è spiegabile in termini biologici solo con la semplice modificazione dell'espressione genica delle sinapsi, ma con un'azione ancora più complessa che riguarda la neoformazione di cellule nervose.


Dopo il crollo del dogma del cervello adulto immutabile, in seguito alle scoperte di Kempermann (1997) e Gould (1998), si è confermata l'ipotesi che nuove cellule (neurogenesi) compensino la morte cellulare neuronale.


A partire da questa scoperta, non abbastanza enfatizzata, parecchi studi (Malberg, 2004) hanno permesso di accertare che, durante tutto il corso della vita, in particolare nel giro dentato dell'ippocampo, si sviluppa un processo di neoformazione neuronale, derivante da cellule staminali.


Si è dimostrato che molti fattori regolarizzano la neurogenesi nell'adulto, e tali considerazioni hanno avuto ripercussioni in campo clinico nelle ricerche intorno alla depressione.

Alcuni modelli di stress psicosociali e fisici sono stati individuati come cause di una diminuzione della proliferazione cellulare, e della neurogenesi in particolare, nell'ippocampo. Peraltro, un trattamento prolungato con antidepressivi di varie categorie è stato visto incrementare proliferazione cellulare e neurogenesi.


Altri dati confermano che riduzioni del volume ippocampale siano correlate con lo stato depressivo (Sheline et al., 2003), nel senso che tale riduzione sia da ricondursi a incremento di morte e di atrofia cellulare.


Osservazioni di questo genere avvalorano l'ipotesi che la riduzione della proliferazione cellulare o della neurogenesi nell'ippocampo dell'adulto può giocare un ruolo importante nella fisiopatologia della depressione e che gli antidepressivi agiscano invertendo tale processo involutivo.


L'interesse per tali ricerche neurobiologiche non avvalora solo il metodo già esposto, teso a integrare farmaci e Psicoterapia, ma offre uno spunto ulteriore a favore di un indirizzo scientifico-culturale che consideri il Protomentale quale common ground di qualsivoglia applicazione clinica integrata.


Aggiungiamo che, ad avvalorare le osservazioni su esposte, è noto come l'ippocampo sia coinvolto nella codificazione, immagazzinamento, reperimento della memoria esplicita a lungo termine, ossia l'attività che abbiamo indicato come la verosimile sede dove vengono fissate le immagini mentali, frutto della elaborazione (a partire dalle esperienze protomentali) delle relazioni di attaccamento primarie e secondarie.


Il danno che il processo depressivo induce, secondo le evidenze citate, nella zona dell'ippocampo, potrebbe trovare una prima interpretazione psicodinamica integrata nell'arresto del processo di mentalizzazione cui abbiamo accennato.


Ciò spiegherebbe il confermato reciproco potenziamento dei due interventi, biologico e psicologico, e apre una serie di prospettive cliniche e di ricerca che finalmente consentono di guardare oltre gli steccati culturali del secolo scorso e fanno in modo che la Psicoterapia Integrata occupi un posto centrale nella formazione e nella prassi dello psichiatra e dello psicologo clinico.

 

BIBLIOGRAFIA

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Bowlby J (1969) Attaccamento e perdita. Vol. I Boringhieri, Torino 1972

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